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giovedì 16 gennaio 2014

Che succede alla tua mente dopo un trauma come quello subito da Schumacher?

Che cosa ho visto quando ero in coma. Che succede alla tua mente dopo un trauma come quello subito da Schumacher? E com’è il dopo, quando ti risvegli? La testimonianza, toccante, di chi ci è passato.

Non so dove sia la mente di Michael Schumacher mentre il suo corpo lotta per rimanere aggrappato alla vita. Ma ci penso spesso.
Perché in quel luogo ci sono stato anche io, venticinque giorni di coma farmacologico dopo un incidente che, nel 2006, quando avevo 24 anni, mi aveva quasi ucciso. I farmaci che ti tengono in vita e sedato mentre i medici ti fanno qualunque cosa debbano fare per salvarti, fanno anche un’altra cosa: ti spediscono lontano.


Quando mi sono svegliato, dopo quasi un mese di incoscienza, credevo di essere in un giorno, un anno e una città diversi da quelli in cui ero. Tra viale delle Terme di Caracalla, a Roma, dove ero andato a sbattere su un palo, e la rianimazione dell’ospedale San Giovanni ci sono quattro chilometri, ed era tutta la strada che in teoria avevo fatto in quell’ottobre del 2006. Eppure la mia testa ne aveva percorsi migliaia, mentre il mio corpo era sdraiato e il metabolismo domato.

Non so perché, ma ho sognato soprattutto viaggi: stazioni, porti, mercati, aeroporti, città dove non ero mai stato. Ancora oggi, dopo otto anni, potrei disegnarne l’itinerario su una mappa. Credo che la mente, sognando per giorni sotto l’effetto dei barbiturici e degli ipnotici che si usano per il coma indotto, traduca quello che hai intorno, e trovi il modo di raccontarti la partita che stai giocando. Luoghi spaventosi e bui, quando la speranza sembrava persa.

Ricordo l’atrio di una casa vuota, come quella che si vede in Viale del tramonto, con le scale che si avvolgono verso l’alto, e colori saturi e scuri al posto del bianco e nero. O posti luminosi e pieni di futuro, quando il mio corpo ha cominciato a rimontare la partita con la morte. È andata così: nel mio sogno ero su una spiaggia, quando i pesci hanno cominciato a saltare sulla sabbia. Lì ho capito, mi sono voltato e sono tornato indietro. Magari era solo una delle allucinazioni portate dagli ipnotici, ma per me è stato quello il momento in cui mi hanno detto: «Si torna a casa, l’esilio dal tuo corpo è finito».

E ho visto gli occhi di un rianimatore e le sue braccia tese, come se mi volesse dare il benvenuto. La cosa più difficile da spiegare una volta risvegliati, ed è un problema che spero avrà anche Michael con chi lo sta aspettando ora, è che quei ricordi sono reali come quelli reali.

So che quella spiaggia non esiste. Eppure, a un livello diverso, so di esserci stato. Quando ho riaperto gli occhi, ero nudo, non potevo parlare, o muovermi, o mangiare, o bere. Non potevo per vari motivi medici, e perché non lo sapevo più fare.

Ho avuto decine di nuove prime volte, una nuova prima parola, un nuovo primo boccone o sorso d’acqua, un nuovo primo passo. Non so quanto sia lontano dal suo corpo Michael ora, ma spero che trovi presto una spiaggia, o quel che è, a dirgli che può tornare a casa.

Ferdinando Cotugno

Fonte: Vanity Fair



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